Cecilia Rossi, fondatrice di UAF, il servizio che permette agli anziani di trovare nipoti on-demand

C’è chi dice che la tecnologia abbia reso le relazioni più fredde e abbia contribuito ad allontanare le persone. Eppure è stato proprio durante la pandemia che abbiamo scoperto quanto la tecnologia possa aiutarci a mantenere i contatti e a fare nuove conoscenze.

Insomma, non è tanto lo strumento in sé, quanto il modo e il motivo per cui lo usiamo.

Tra le iniziative virtuose nate recentemente ci ha colpito il caso di UAF, un servizio per trovare “nipoti-on-demand” che facciano compagnia agli anziani. Abbiamo chiesto a Cecilia Rossi, founder insieme a Matteo Fiammetta, come funziona.

I fondatori di UAF, il servizio che permette agli anziani di trovare nipoti on-demand

Come si è accesa la lampadina che ha dato origine a UAF?

La lampadina si è accesa durante il lockdown: è stata la prima volta in cui abbiamo provato sulla nostra pelle la vera solitudine.

Per noi era qualcosa di temporaneo ma ci siamo resi conto che per moltissime persone, ad esempio gli anziani, la solitudine è una costante che mina sensibilmente la qualità della vita.

Proprio per aiutare i nostri nonni, io e Matteo abbiamo cercato online soluzioni per questo problema, scoprendo che nel nostro Paese soluzioni non ce ne sono.

A quel punto abbiamo deciso che bisognava fare qualcosa, e che avremmo provato a risolvere il problema della solitudine di chi non è più giovane.

Così nasce UAF! 

Perché avete dato al servizio questo nome?

UAF è un acronimo che sta per U Are Family.

Questo nome fa trasparire il nostro obiettivo: fare sentire gli anziani come parte di una società che dà loro il giusto valore.

Anche Il logo UAF rappresenta l’abbraccio tra un anziano e uno dei nostri nipoti on demand: un’esperienza autentica resa possibile dal ponte digitale costruito dalla nostra piattaforma. 

Qual è la differenza tra partecipare a UAF e fare caregiving?

C’è una grandissima differenza: i ragazzi di UAF sono i “Nipoti”, definizione che usiamo proprio perché il rapporto sincero che si ricrea all’interno di UAF è quello che si crea tra nonni e nipoti.

I nipoti non sono badanti, operatori sanitari o caregiver, ma ragazzi che hanno voglia di fare del bene e lavorare nel sociale.

I nonni di UAF sono tutti anziani autosufficienti, quindi i nipoti non devono avere skills particolari a parte quella di voler passare del tempo con la generazione dei ‘nonni’ e creare scambi, condivisioni, momenti di “vita vissuta” utile.

UAF risolve il problema della solitudine grazie ad attività ricreative e di svago, attività positive. Non siamo badanti, ma persone che vogliono far passare del tempo di qualità ai nonni. Un esempio? Sapete quante persone anziane e sole avrebbero voglia di andare al ristorante o al cinema e non sanno con chi andarci?

Che feedback avete ricevuto?

Abbiamo avuto un feedback super positivo: siamo usciti ufficialmente sui social il 10 gennaio, e abbiamo registrato un sacco di iscrizioni da parte dei nipoti, quasi 1000 nel giro di due settimane.

Siamo molto contenti che ci sia così tanta gente che ha voglia di lavorare nel sociale e prende veramente a cuore il mondo degli anziani.

Qual è l’obiettivo che vi siete dati?

Quello di creare un nuovo modello di integrazione tra le generazioni. Non ha senso che il capitale umano delle persone “over” sia abbandonato e non trasmesso a causa della solitudine. La risposta che abbiamo avuto dagli aspiranti Nipoti fa capire come proprio nei più giovani ci sia il desiderio di scambio con chi non è più considerato giovane.

E vogliamo anche coinvolgere le famiglie che, soprattutto nelle grandi città, spesso non riescono a condividere tempo e spazio con i loro anziani ma che, attraverso UAF, possono assicurare loro un supporto che abbatte la solitudine e ricostruisce una salutare relazione intergenerazionale.

Gli anziani sono parte integrante della nostra società e noi vogliamo contribuire a farli sentire più partecipi e meno soli.

Qual è il filo che unisce il tuo percorso professionale nella moda a UAF?

Credo sia la mia disruptive vision.

Vengo dal mondo della moda e del cinema; forse non c’è ambiente più diverso da quello delle startup e degli anziani.

Ma sta proprio qui la mia forza: avere occhi freschi che si approcciano ad un mondo nuovo.

Poi vorrei contribuire a migliorare il livello di comunicazione destinato agli anziani, che già oggi sono una parte molto rilevante della nostra società.

Generalmente il modo di comunicare con loro e per loro non rende giustizia alla voglia di fare e di partecipare degli over.

Proviamo a cambiare le cose, partendo da una comunicazione bella, elegante, accattivante.

Ed è forse questo l’aspetto che mi porto dietro dalla mia esperienza di stylist. Valorizzare il bello.

Spero che questo si possa percepire già a partire dai nostri social.